Sunday, October 16, 2005

THE MARS VOLTA
MOTHERSHIP LANDING
Il punk incontra il prog
(Rumore Aprile 2005)



La storia dei Mars Volta, particolarmente nel modo in cui ci preme raccontarla, riassumerla e interpretarla, comincia oltre quindici anni fa, all'alba degli At The Drive-In. Potrà sembrare impossibile unire il punk duro e puro -e pure ingenuo- di Acrobatic Tenement (esordio del Febbraio 1996) con le mastodontiche movenze progressive di Frances The Mute, e senza ascoltare i passaggi intermedi ponderandone tempi e modi l'impresa è in effetti disperata. Alla vigilia della pubblicazione del secondo album a nome The Mars Volta, intitolato Frances The Mute, Omar Rodriguez Lopez, chitarrista alle redini di entrambi i gruppi e principale figura pubblica, è un interlocutore che sceglie di non schernirsi davanti alla parola “progressive”: bruttissima, cacofonica, offensiva, antipatica e soprattutto tremendamente fuori moda. E' ovviamente ben conscio che il significato che assume in questa sede è ben più ampio rispetto al consueto, particolarmente se in relazione a una delle attività parallele dello stesso Omar, ovvero la direzione artistica dell'etichetta Gold Standard Laboratories. Se dunque applicato ai Mars Volta il termine rappresenta un'abbreviazione per descrivere un determinato modo, particolarmente complesso e stratificato, di fare musica rock, associato alla piccola, ma coraggiosa e lungimirante etichetta diventa una semplice parolina di quattro lettere, corta corta e non certo capace di contenere l'enorme e disparata creatività messa in gioco. Ma come ci sono finiti i punk a suonare prog rock? Il punk non è celebrato da anni come l'antitesi e addirittura il boia del prog? L'entrata a gamba tesa della brutalità lineare e cinica sulle caviglie dell'esibizione tecnica e dell'affabulazione insensata ha dato a tutti molte soddisfazioni, i secchioni venivano presi a calci e costretti a levarsi di mezzo, c'era finalmente spazio per tutti e ognuno poteva dire/suonare la sua. Ma questo succedeva quasi trent'anni orsono, e la sostanza che si è andata a creare dopo la prima devastante ondata di nichilismo, attraverso il post punk e l'hardcore, ha sempre celebrato l'individualità cocciuta e la capacità di infrangere le regole come aspetti fondamentali. E dunque: i Mars Volta AD 2005 non sovvertono forse le norme che vorrebbero (ancora!) il punk fermo a tre accordi e insulti ai poliziotti? Non è forse parte integrante dello “spirito punk” tirare dritto e fottersene per arrivare a creare ciò che si vuole? Frances The Mute è chiaramente un disco che va ascoltato molto, interpretato e interrogato, ma al cuore di esso si trova un'altra cosa che non si può che definire punk: una critica spietata e visionaria alla società di oggi. La forma è molto cambiata, è più ricca, sfaccettata e non fa più leva sull'immediatezza, ma anche il mondo è cambiato: le minacce sono reali ma vengono mascherate, la loro molteplicità rende difficile individuarne una per debellarla. Il pericolo per la vita sta negli elementi medesimi che vanno a connotarla, e nessuno sembra accorgersene più. Non si può fuggire da tutto e nessun luogo, nemmeno della mente, è sicuro fino in fondo. Tutti abbiamo qualcosa da nascondere e la coerenza totale diventa un lusso. Con Omar A. Rodriguez-Lopez cerchiamo, strato dopo strato, di capire come i Mars Volta abbiano dipinto la propria attuale visione del mondo dentro Frances The Mute, perchè di questo si tratta. Innanzitutto si sa ormai che il brano che dà titolo all'album, misteriosamente, non vi comparirà. Verrà pubblicato separatamente, forse solamente in vinile, e funzionerà da “decoder track” per l'intero corpus dell'album. Mossa molto originale, ma pensandoci non è forse vero che ogni libro ha il proprio indice? In ogni caso, perchè? Per cominciare non ci sarebbe nemmeno stata sull'album. Dura settantasetta minuti e a meno di farlo doppio, cosa che volevamo evitare, non ci si poteva mettere più nulla. Quando l'album sarà disponibile ci si accorgerà che la presenza all'interno del disco sarebbe stata di troppo. La sequenza dei brani posta in questo modo fa svolgere una storia che ha una propria armonia interna e che può essere compresa senza aver avuto esperienza del brano decoder. Esso è la genesi di tutto, il punto dal quale l'album prende il via, ma non è strettamente necessario per ascoltarlo o interpretarlo.

Qual è dunque il suo ruolo?
Ascoltando l'intero Frances The Mute, title track compresa, si trovano le risposte a molte più domande. Una serie intera di punti trovano una soluzione o un'interpretazione. Il rapporto è uguale a quello fra un figlio e i suoi genitori. Io posso conoscere bene una persona, ma vedere i suoi genitori mi renderà disponibile un'intera e ulteriore serie di riferimenti e rimandi che mi possono aiutare a interpretarne meglio emozioni, idee e stati d'animo. Sono le radici.

Lungo tutto lo scorrere del disco ci sono riferimenti continui a un rapporto madre/figlio, c'è l'assenza di un padre (The Widow), ci sono riferimenti oscuri alla nascita (“Plant a nail in the navel string”), al ventre materno (“Will they feed us in the womb?”), ai gemelli (“Feed US in the womb”, Cassandra Gemini), all'aborto (“An abortion that survived”), al concepimento e allo Spirito Santo (però the ghost isn't holy anymore...), alla sofferenza che la vita in arrivo potrà portare. Non dev'essere a questo punto casuale: Frances è quindi una madre? E' di questo che stiamo parlando?
Questo è l'esatto punto focale del disco, la verità ultima che si dischiude dopo ogni strato e interpretazione di esso. La madre è l'origine di tutto, è l'essenza stessa dell'esperienza della vita e della morte. Tutte le cose che hai detto e che sono nel disco concorrono a formare il quadro di questa esperienza. La madre è il nostro legame più forte, l'unico che ci può aiutare a capire l'essenza stessa della vita e di noi stessi. E' la madre che genera la vita, è la madre che la veicola e la fa crescere. Tutto nel disco è collegato, ma è un concept molto differente da quello del primo disco. Non è una storia lineare, con un inizio e una fine. E' una serie di immagini.

Ma qual è il rapporto effettivo con la realtà? Quanto la realtà interviene nella creazione di questo mondo/quadro?
C'è un rapporto strettissimo con gli ultimi due anni di vita di questo gruppo, la perdita del nostro amico Jeremy, i posti che abbiamo visto e alcune esperienze fatte, l'orribile politica americana che imperversa in tutto il mondo. Tutto questo riassume la nostra vita recente e la parte più grande di tutto questo è la madre. E' il legame di sangue e la radice, la chiave per capire questioni psicologiche che sfuggono alla nostra razionalità e conoscenza di se stessi. Noi ci possiamo ribellare contro i nostri genitori. La figlia di Bush si può ribellare contro suo padre e la sua politica, ma ne avrà sempre i geni, ne avrà il sangue. E' un pensiero molto oscuro, spaventoso quasi. Ma è inevitabile che sia così, c'è un cordone ombelicale che ci lega alla nostra discendenza.

E' significativo che l'album si apra e chiuda con lo stesso tema, ovviamente.
Quando dobbiamo ancora nascere siamo vicini alle nostre radici, tocchiamo le nostre stesse origini. Quando siamo bambini siamo vicino a nostra madre, ma crescendo ci allontaniamo sempre di più dalla nostra vera origine fino quasi a dimenticarla. Ma quando il momento della nostra morte si avvicina, ritorniamo all'origine di noi stessi, ritorniamo alla purezza dell'inizio. L'apertura e la chiusura del disco sono identiche, ma l'inizio ha un suono distante, ovattato, mentre il finale ha chiarezza e volume, è un finale forte, vibrante.

Tutto Frances The Mute è permeato da un alone pessimista, una sorta di desiderio di non essere mai nati. Ci sono riferimenti a una vita che non vale la pena di essere vissuta (“No there’s no light, no there’s no time, You ain’t got nothing, your life was just a lie”), all'aborto. Addirittura c'è quasi un anelito ad esso. E' questa il paradosso a cui ci spinge la nostra vita?
Non è sempre così, fortunatamente. Ma chiunque di noi ha momenti in cui non si sente in grado di farcela. Dei momenti di pessimismo nero dai quali sembra impossibile uscire. Ce li ha anche chi è fortunato e vive una buona vita, io sono il primo di essi. A volte bisogna rilasciare queste sensazioni estremamente negative, bisogna lasciarle fluire al di fuori.. Ma non è questa la somma di tutto per fortuna.
Il nome Frances da dove arriva? In rete giravano notizie secondo le quali sarebbe stata Santa Francesca di Trastevere, ma non sembra ci siano tracce precise di questo nell'album.
Il nome Frances è stato scelto perchè può essere sia un nome maschile che un nome femminile. Nel corso del disco si scopre che è molto più probabilmente femminile, ma all'inizio non si può sapere.

Certo che è una donna. Rimane anche vedova...
Esatto. The Widow parla di questo ed è l'unica canzone abbastanza corta per farci un video, che ho diretto io.

Ma anche qui c'è un'ambiguità. Il ritornello insiste su “I'll never sleep alone”, ma cosa significa? Di nuovo, è aperto a due interpretazioni quasi opposte.
E' corretto anche questo. Dal punto di vista della vedova, potranno esserci solitudine e dolore, ma è qui che entra in gioco il figlio. Il figlio diventa come il padre. Da un punto di vista assolutamente tradizionalistico e simbolico, la madre è colei che si prende cura dei figli e che li nutre. Il padre, per un maschio soprattutto, è un esempio da seguire. A un livello successivo c'è poi la presa di coscienza di essere rimasto senza un punto di riferimento, ma di averne un altro inamovibile. A un livello ancora successivo c'è una sorta di complesso d'Edipo, addirittura.

Passando ad un'analisi riguardante il piano strettamente musicale (ammesso che sia possibile scinderlo anche solo per un momento da quello lirico/concettuale) è quasi ovvio considerare che Frances The Mute, ad un livello puramente superficiale, funzioni sostanzialmente alternando momenti “fitti” a parti rarefatte, groove rock ipercinetici che fanno da picco ed esplorazioni ambientali più o meno rumorose tengono insieme il discorso e legano le parti. Queste possono funzionare sostanzialmente da pause o da divagazioni di sapore psichedelico, ma mantengono un ruolo ben preciso: quello di servire da magma ribollente di idee e immagini. Tuttavia, nell'incredibile complessità e stratificazione, i momenti più propriamente “rock” spiccano per coesione, dinamismo e per una scioltezza incredibile se relazionata all'evidente difficoltà d'esecuzione del materiale. Sembra impossibile che non siano state provate e riprovate allo sfinimento, eppure mantengono una spontaneità e un istinto inattaccabili.
Questo è il nostro livello di conoscenza l'uno dell'altro, abbiamo delle linee guida per la nostra musica ma ogni deviazione che uno sceglie di fare sarà subito seguita da una reazione pronta e adeguata di tutti gli altri.

Ma com'è stato effettivamente realizzato Frances The Mute? Tu ne sei il produttore e più di chiunque altro conoscerai il meccanismo che l'ha generato.
Quello che hai detto prima sta sostanzialmente a significare che ho fatto un buon lavoro. Tutto è stato realizzato in molti luoghi diversi. E' il frutto di un anno intero speso in tour insieme, a contatto strettissimo ogni giorno, prima e dopo la morte di Jeremy. Ci ha portato sempre più vicini gli uni agli altri e ha instaurato una sorta di relazione psichica fra tutti noi. Ho registrato tutte le parti separatamente, con un musicista alla volta. In alcune occasioni chi stava suonando non aveva ascoltato prima l'accompagnamento. Praticamente improvvisazione che poi veniva adattata al pezzo vero e proprio.

Sono davvero stupito. Non suona per niente così.
Era mia ferma intenzione che il disco suonasse imprevedibile, in costante cambiamento, con diverse parti assemblate secondo un principio che rendesse lo scorrere pieno di sorprese. Credo ci siamo riusciti in maniera diversa per ogni parte che abbiamo inserito nell'album.

Gli At The Drive-In sono stati un gruppo profondamente “punk”. Come i Mars Volta, anch'essi prima nella testa che non nelle corde. Anche dopo la licenza major che ha portato al successo Relationship Of Command hanno sempre considerato fondamentale avere il controllo di tutto ciò che riguardava il gruppo. Le pagine di questo stesso giornale riportanono di alcuni problemi con chi, presso l'antica Videomusic, voleva portare in video per un'intervista solo Omar e Cedric. La musica e i testi targati Mars Volta sono invece molto meno diretti, c'è molto “intelletto” dietro, una lunga e accurata costruzione di un mondo che, alla fine di tutto, non si adegua a nessuna particolare regola commerciale. Qual è l'origine di questa progressione verso il prog rock?
E' stata un'evoluzione musicale completamente naturale, per quel che mi riguarda. Quello che facciamo è l'essenza stessa del punk. Il punk non si deve preoccupare della società che lo circonda e non deve badare a regole poste da altri. Io ho sviluppato questo percorso e secondo questa etica che ho sempre seguito lo ritengo “punk”. E' un modo di pensare prima che di suonare, e racchiude il non lasciarsi inscatolare, il tirare avanti dritto quando ti danno contro e mandare tutto all'aria quando ti vogliono costretto a ripetere coattamente la stessa cosa. Con i Mars Volta abbiamo avuto l'occasione di entrare più a fondo nel nostro trip, di rendere più grandi alcuni elementi della nostra visione e descriverli come meglio crediamo. Gli At The Drive-In avevano un'energia enorme. Con i Mars Volta volevamo recuperare quell'energia e trasformarla in pensiero puro. In idee, immagini, storie.